A tu per tu con Francesco Meucci, capo de La Nazione: “Con me si lamentano tutti, ma se così non fosse significherebbe proporre un giornale piatto”

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A Lucca c’è l’idea che il capo della Nazione voglia fare il Sindaco!
Esordisce così, ridendo, Francesco Meucci, responsabile della redazione di Lucca de La Nazione, al quale abbiamo fatto una lunga e piacevole intervista.
Non conoscevamo personalmente questo detto, ma tutto si può dire di Meucci tranne che lo rappresenti: pisano di nascita e lucchese di adozione, ormai. La sua carriera lo ha portato a girare come una trottola in tutta la Toscana, collezionando esperienza, professionalità e maturando quella simpatia mai scomposta tipica di chi sa stare nel posto giusto e con i tempi giusti.

Una carriera professionale, sempre e comunque a La Nazione, iniziata a Pisa, dove lavora per dieci anni, fino al 2000, quando, per i successivi venti si sposta con con cadenza regolare tra quasi tutti i capoluoghi toscani. Sei anni a Siena come redattore, poi a Carrara come capo, poi Empoli e una parentesi a Firenze, poi tre anni a Siena, Livorno per poi approdare nella nostra Lucca. La figura di Meucci non rompe la classica tradizione targata “La Nazione”: ovvero quella di identificare come capo nelle varie redazioni un professionista il più possibile estraneo ed esterno ai fatti della città, che non abbia quindi legami particolari e che denoti una distanza da tutti quei possibili personalismi.

Eclettico e composto, educato, ma fuori dalle righe, Meucci si è concesso a Lo Schermo in una lunga chiacchierata partendo dall’importanza dell’informazione, divisa tra web e carta stampata, per arrivare poi ai temi scottanti della città, tra cui la Manifattura e concludendo con una panoramica sulle prossime amministrative del 2022.

Web, dove tutti possono essere tutto: è la deriva della carta stampata?
Sicuramente la carta stampata ha vissuto una fase di profondissima crisi, parallela all’arrivo dei nuovi mezzi di informazione. Il momento più difficile risale all’affermarsi dei social network, che ha quasi portato a credere che l’informazione tradizionale venisse superata. In verità noi abbiamo resistito e questo proprio per l’effetto degli stessi social e della modalità con cui l’informazione si è collocata online: da una parte la velocità e l’immediatezza della fruizione delle notizie – che è la caratteristica della rete – , dall’altra però la nascita delle cosiddette fake-news e dell’alterazione della realtà, che ha riportato ai lettori il fabbisogno di avere notizie certe e consolidate. Abbiamo così assistito, dopo il vacillare iniziale, a un ritorno ai mezzi di comunicazione tradizionale, quindi carta stampata, televisione e radio ma anche siti internet che hanno una struttura giornalistica alle spalle. Io, personalmente, credo che ogni tecnologia – e quindi ogni mezzo di comunicazione – soppianti nel tempo quello precedente, come succede anche nella musica dove per esempio i cd hanno sostituito i vinili e spotify i cd: di fatto però la necessità di avere un determinato tipo di servizio resta sempre, e alcuni luoghi soddisfano questi bisogni, altri no. La carta stampata è uno di questi, nonostante sia chiaro che i giornali vengano comprati sempre meno.

Un blogger può ritenersi giornalista per te?
Per me sì, se rispecchia i fondamenti su cui si basa il giornalismo. Fare informazione non significa per forza scrivere su un giornale o aver un blog, significa rispondere a delle regole precise, che sono quelle del recepire informazioni certe, riportarle in modo corretto, coerente, senza danneggiare nessuno e avere rispetto della deontologia professionale. Quindi, tutti coloro che rispettano tali regole possono ritenersi giornalisti. Tutto è lecito se si rientra in questi confini, quindi divulgare, informare e partecipare a dibattiti esponendo le proprie opinioni; se la finalità invece è denigrare, mal informare e danneggiare persone allora lì si entra in un mondo che si pone fuori dal giornalismo. Non è raro infatti vedere personaggi che, uscendo da questi limiti, si improvvisano giornalisti o qualcosa di simile, scadendo poi in tutti quei fenomeni pericolosi, figli del nostro tempo, come per esempio il cyber-bullismo.
E’ una bella e ricca partita quella del giornalismo ed è sempre in concorrenza, ma va affrontata nella correttezza, dentro quel perimetro di legge, fuori non solo non è giornalismo ma, per come la vedo io, si esce anche dalla democrazia stessa, se uno ci crede. D’altronde la legge sulla stampa, dopo il fascismo, è stata scritta dai Padri Costituenti e questo dimostra che si è pensato prima alla necessità dell’informazione rispetto a quella di costruire ponti e strade: informare è un bisogno chiaro che va, appunto, di pari passo con la democrazia.

Spostandosi a Lucca, in provincia, avverti mai la sensazione di un giornalismo piatto che si sta riducendo a un lavoro di segreteria?
Lucca, come tutte le città di provincia, ha una problematica ed è quella legata al fatto che gli argomenti sono tendenzialmente ridotti e spesso ripetitivi, soprattutto in un momento del genere dove si finisce a parlar sempre delle stesse cose. Nonostante ciò – e parlo per me e per La Nazione – lo spirito, la voglia e la necessità di cercare di raccontare qualcosa ancora c’è. E’ bene ricordare che un giornale come La Nazione è un quotidiano, esce tutti i giorni, e per questo non può avere una visione prospettiva, ma deve raccontare come cambia il presente, e nel fare ciò è ovvio che ci siano dei momenti in cui il quotidiano è un orizzonte piatto e altri invece più interessanti, articolati e frizzanti. A Lucca, il momento in cui questo orizzonte prende forma è sicuramente il periodo elettorale, dove tutto diventa effervescente ed è in quei momenti che si ritrova lo spirito di quando abbiamo deciso di fare i giornalisti, quella voglia di approfondire e di rompere gli schemi, cosa che un giornale come La Nazione a Lucca solitamente non fa.
La Nazione è consapevole di avere un ruolo: è un giornale un po’ paludato, abbastanza letto anche in controluce, nel senso spiato, il giornale che tutti si aspettano abbia allo stesso tempo una voce critica ma anche istituzionale.

Qual è quindi il compromesso per mantenere questo equilibrio?
Sicuramente rispettare sé stessi e l’esempio lampante è il grande tema di quest’anno: la Manifattura. Tema sul quale non ci siamo mai tirati indietro.

C’è invece chi afferma il contrario e cioè che non vi siete né esposti né appassionati alla vicenda.
Il tema/dibattito sulla Manifattura si è articolato quasi esclusivamente su La Nazione per almeno la prima parte, partendo da un’esternazione di Lodovica Giorgi che si era espressa in modo pesantemente contrario al progetto, e che subito ha trovato spazio qui attraverso un’intervista.
Da lì si è aperto un fronte e noi, non volendo indirizzare il dibattito, abbiamo voluto dare voce a tutti: Marco Chiari, Alberto Varetti, Manfredi Catella, il Sindaco Tambellini, Andrea Rapaccini di MIH, che è stato intervistato da noi due volte quando nessuno ne parlava.
Allo stesso tempo, spesso è stata espressa un’opinione al riguardo, la maggior parte delle volte a firma del sottoscritto che, per esempio, fui uno dei primi a dire che non si doveva nemmeno parlare dell’ipotesi di concedere il Baluardo di San Paolino, in quanto le Mura sono un elemento intoccabile per la nostra città. Non che sia merito mio, ma il Baluardo ad oggi è fuori dal progetto.

Quindi, La Nazione è favorevole o contraria al progetto sulla Manifattura?
Premetto che penso, come credo tutti, che la Manifattura rappresenti il più grande contenitore urbano della città e, in quanto tale, non deve essere lasciato al degrado. Allo stesso tempo abbiamo sempre espresso un parere favorevole o quantomeno di visione diversa da quelli che si oppongono.
Noi non ci opponiamo a questo tipo di progetto e personalmente credo che l’idea del project financing non sia sbagliata, ma che semplicemente andava gestita in un determinato modo e questo ruolo fondamentale spettava all’Amministrazione comunale che doveva misurarsi su ciò. Anche per quanto riguarda Coima ci siamo chiesti: un partner così è giusto o sbagliato? Ma non è questo il punto, va da sé che se si decide di procedere a una rigenerazione così importante ci si rivolga a partner di quella dimensione, qualsiasi esso sia. Il punto è che la parte pubblica doveva gestire e indirizzare la scelta.

Ci sono stati, secondo te, errori nella gestione della cosa?
Un’operazione come questa si poteva imbastire in tanti modi ed è stata scelta questa strada, con questi crismi, e probabilmente se c’è un errore di fondo non è l’operazione in sé, ma la narrazione di essa, facendo passare il messaggio – nonostante noi abbiamo cercato di stimolare la cosa – che non si poteva raccontare ciò che stava accadendo, forse complice la paura che l’operazione non passasse. Se uno decide di fare qualcosa deve essere il primo a crederci, ed essendo un’operazione importante bisogna anche essere disposti a farci credere tutti gli altri, discutendone e difendendo le proprie idee. L’impressione è stata quella che all’inizio sia accaduto l’opposto: è stata riportata una cosa come se alla base non ci fosse una vera idea, un principio, una filosofia, che invece realmente c’era. Tutt’ora l’Amministrazione continua in qualche modo a comportarsi allo stesso modo e ovviamente tutto ciò ha portato a un’esasperazione dei torni, facendo emergere personalismi e scontri e allontanando il dibattito dal problema reale.

Il problema reale qual è, quindi?
Una città come Lucca non doveva interrogarsi sulla quantità di parcheggi o negozi ma centrare il dibattito su: come sarà Lucca tra 20 anni, se quella parte di città, oggi buia, tornerà ad essere vitale? Anche solo l’intervento di Tagetik rappresenta un’iniezione di vita per la città. Servirebbe una maggiore visione e, personalmente, in tutta questa vicenda, io non l’ho mai registrata. L’assessore Mammini ha provato ogni tanto a spostare l’asse, ma alla fine si torna a parlare dei soliti posti auto: sembra quasi si stia discutendo di una qualsiasi casermetta, quando invece l’operazione Manifattura è probabilmente il più importante intervento della città e che non riguarda solo essa, ma tutta la Toscana almeno, motivo per cui sarebbe stato interessante una tavola rotonda con l’area vasta per esempio. Ciò che è mancato è un dibattito dal più ampio respiro.
La strada è ancora lunga ma credo che l’iter procedurale amministrativo avrebbe meritato meno attorcigliamenti, doveva essere più lineare, limpido, pulito e con meno zone d’ombra che, poi, non nascondono secondo me malversazioni, ma solo un po’ di incautela e supponenza. Si è sentito dire spesso che sono gli atti a dover parlare ma questo è banale, come lo è il fatto che si esprimerà il consiglio comunale: e chi sennò? Ma è lecito anche che tra l’Amministrazione e i proponenti -che non erano loro a doversi esprimere sulla cosa, ma alla fine solo Bertocchini e Catella hanno parlato – ci siano degli scambi di carteggi, che vengano passati dei progetti, che ci siano delle ipotesi di prospetti ma perchè non dirlo? Non si può depositare atti pubblici e fingere poi che non esistano o che non abbiano importanza: questo è stato un grande scivolone dell’Amministrazione.

Come vedi il ruolo della Fondazione?
Sono convinto che la Fondazione sia una garanzia per Lucca, anche su un’operazione del genere che è anomala e diversa dal solito. Credo che sia comunque funzionale alla città e rivendico il fatto di avere questa opinione.

A tal proposito quindi non credi, come dice l’opinione pubblica in generale, che i giornali siano schiavi dei poteri forti della città?
Intanto bisognerebbe capire quali sono i poteri davvero forti della città! Sicuramente Lucca ha dei luoghi dove si specchia e riflette la città e la Fondazione Cassa di Risparmio è uno di questi: un luogo dove convergono tutte le anime e che quindi riesce ad esprimere una politica e delle scelte a tutela della città. Non credo assolutamente che nella storia, nelle corde e nemmeno nell’anima della Fondazione ci possa essere un’operazione contraria agli interessi dei cittadini lucchesi, e lo dico pur non essendo lucchese. Personalmente non mi sento influenzato dal fatto che la Fondazione sia senz’altro il più forte centro di potere della città ma la credo davvero, sulla base di ciò che ha fatto e sulla base del suo mandato, una garanzia.

Cosa rispondi a chi dice (a te e a La Nazione) che dai più spazio alla maggioranza rispetto all’opposizione?
Non c’è assolutamente squilibrio tra lo spazio dato alle notizie riguardanti la maggioranza e quelle dell’opposizione, noi valutiamo ogni cosa sulla base della notizia e spesso l’opposizione produce delle posizioni che hanno un peso di notizia pari a zero, motivo per cui non vengono pubblicate. Allo stesso tempo però seguiamo ciò che a noi sembra interessante, per esempio lo abbiamo fatto con il webinar organizzato appunto dall’opposizione sulla questione Manifattura e Confcommercio, dove due commercianti si sono palesemente espressi contro la propria associazione di categoria. E’ chiaro poi che ci sono argomenti, come la Manifattura, dove si leggono ultimamente sempre le stesse cose e quindi non sono più notizie. Il punto è che a Lucca La Nazione è vista come un giornale istituzionale e ci si aspetta che prenda posizione: noi invece dobbiamo stare nel mezzo, nel giusto equilibrio, dando ovviamente spazio a tutte le voci. Non siamo un giornale di missione, non vogliamo fare l’opposizione all’opposizione, come non vogliamo tirare acqua all’Amministrazione: cerchiamo solo di fare il giornale, a volte bene, a volte sbagliando e a volte ci risulta inevitabilmente difficile, ma i nostri giudici sono i lettori e le scelte che facciamo sono sempre e solo nostre. Per esempio, con me si lamentano tutti, dall’Amministrazione all’opposizione, perchè mi espongo e perchè se una cosa mi piace la pubblico, altrimenti no: la mia direttrice è contenta di questo e io anche. Se la gente non si lamentasse significherebbe che avremmo un giornale piatto. Al contrario La Nazione è attenzionata e fa delle scelte che non derivano dall’interesse a giocare una partita, se non quella di essere al centro del dibattito cittadino, di far discutere, di porsi come un luogo dove si forma un’opinione.


Elezioni 2022: descrivile con una parola

Direi un divertimento! Faccio questo mestiere da quasi 30 anni e quando ho iniziato si andava direttamente in Prefettura a prendere i voti a mano per fare poi le proporzioni. In una città come Lucca le elezioni sono quel momento in cui il giornale ha l’occasione per vivere la parte più divertente. L’unica cosa che mi auguro, vista l’attuale scena politica, e anche la pandemia che ha cambiato e cambierà inevitabilmente la Lucca del domani, è che siano elezioni in cui si sfidino un numero esiguo di visioni della città. Non volendo tappare la bocca a nessuno, credo però che oggi come oggi i grandi temi in città siano pochi ma decisivi: non dico cosa mi aspetto ma dico che mi piacerebbe vedere delle elezioni vere e forti con dibattiti e sangue. Una campagna elettorale con un elevato numero di candidati porterebbe a un’eccessiva frammentazione.

Possibili Sindaci, come potrebbe essere il mandato di:
Mammini?
Direi ambizioso, soprattutto se il progetto Manifattura dovesse andare come lei vorrebbe, ciò potrebbe apportare a lei un impulso molto positivo.
Raspini? Combattivo
Santini? Coraggioso
Vietina? Non conoscendola molto purtroppo, come non conoscendo l’area da cui proviene, spererei sorprendente.
Barsanti? Capo-popolo
Pardini? Probabilmente sarà quello che potrà mettere su di sé una via di mezzo tra lotta e governo, direi quindi pragmatico.
Del Ghingaro? Non si candiderà, secondo me sta bluffando.

In ogni caso, a prescindere dai nomi, credo fortemente che la cosa davvero importante sia la visione di città che avrà chi prenderà il potere nel 2022.

Rifaresti il giornalista e cosa consiglieresti a un giovane aspirante tale?
Sì, rifarei il giornalista sicuramente. A un giovane aspirante consiglierei – quello che ormai è un obbligo totale – di studiare e prendersi un indirizzo preciso, tra cui le scuole professionali di giornalismo in cui credo molto. Inoltre, molto importante, consiglierei di frequentare il prima possibile una redazione di un giornale, o televisione o comunque sia un qualsiasi altro format tradizionale.

Bianca Leonardi
Bianca Leonardi
Classe 1992, Lucca. Una laurea in giornalismo e tanta voglia di dar voce a chi troppo spesso resta in silenzio. Lavoro da anni nella comunicazione e nell'organizzazione di eventi, saltando tra musica, teatro e intrattenimento. Perché "Lo Schermo"? Perché siamo giovani, curiosi e affamati di futuro.

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