È questa una coincidenza che per nessun motivo possiamo trascurare: il 5 di gennaio è il giorno della vigilia della Befana. Giorno carico di significati, giorno dell’attesa dei prodigi che puntualmente avverranno nella notte quando, proveniente dai monti, sulle nostre case scende la Befana. Il suo arrivo fu puntualmente registrato da Giovanni Pascoli che alla benigna vecchietta dedicò una delle prime poesie composte a Castelvecchio:

Questi i versi iniziali:

Viene viene la Befana,
vien dai monti a notte fonda
-Com’è stanca! La circonda Neve,
gelo e tramontana.
Viene viene la Befana.

Ecco apparecchiata nei suoi elementi essenziali la scena dell’arrivo della Befana, per come l’abbiamo immaginata nei nostri giorni primi e per come continuano a immaginarla i fanciulli che hanno il privilegio di credere alla sua esistenza e non si sono lasciati distrarre da festività di recente importazione.

Da noi, che viviamo nell’Italia appenninica ed abbiamo un’età che ci procura un patrimonio di ricordi, il 5 di gennaio era atteso con forti emozioni: trepidazione, ansia, letizia, ma anche un po’ di paura. Sapevamo che nella notte sarebbe giunta a far visita alle nostre case la Befana, alla quale avevamo scritto fornendogli la lista dei doni che aspettavamo, ma non eravamo sicuri dell’esito delle nostre richieste. La Befana che sapeva tutto di noi poteva anche decidere che non li avessimo meritati. Ed allora al posto dei regali desiderati avrebbe portato il carbone.

Ma intanto il giorno passava e noi sapevamo, ne eravamo certi, che la Befana sarebbe arrivata. Giorno dell’attesa il 5 di gennaio era giorno di gran festa, al punto da sembrare un anticipo del Carnevale. E come un vero e proprio anticipo del Carnevale, con la carica trasgressiva che questo sprigionava, il 5 di gennaio era festeggiato in tanti luoghi dell’antica Italia. E tra questi si distinguevano certamente le campagne intorno a Lucca, i villaggi lungo il Serchio, i borghi sulle colline e i paesi aggrappati alle Apuane versiliesi. Ognuna per conto suo, quelle comunità campagnole-contadine celebravano il 5 di gennaio con riti che provenivano da tradizioni secolari: uomini e donne mascherati che al suono di fisarmoniche, violini e zampogne invadevano strade e piazze intonando vecchie filastrocche, spacciandole per nuove. A Barga si cantava così:

            Ecco donne la Befana
            Non è quella degli altri anni
            Ha mutato vesti e panni
            E s’è messa la barbantana

Nel pomeriggio erano per lo più i bambini che festeggiavano e passavano di casa in casa dove in cambio dei loro canti ricevano dolcetti, mandarini, aranci e più fortunati qualche cioccolatino. Che per quel mondo e per quel tempo, dominati dalla penuria, rappresentava una straordinaria ricchezza e rivelava l’efficacia della connessione americana perché dovevamo ai pacchi inviati per Natale dagli zii d’America la loro gradita presenza nelle nostro modeste case.

Sull’imbrunire i bimbi lasciavano la scena che, quando ormai era buio, veniva occupata dai grandi ed allora il canto della befana toccava a loro. Riuniti in gruppi, formati da ceppi familiari, ma anche per via di consuetudini e amicizie, riuscivano ad intonare canti assai impegnativi dove rifondevano memorie dei Vangeli della nascita di Gesù con l’arrivo alla grotta dei tre re Magi recanti i doni per il Salvatore.

Nel nostro immaginario di bimbi i tre Magi venuti dall’Oriente erano i rappresentanti della Befana e valevano come la prova definitiva della sua esistenza.

Se qualche dubbio continuavamo ad averlo (ma non ci conveniva) a dissiparlo del tutto provvedeva la Befana stessa che, annunciata dal tintinnio di una campanella, era ormai prossima alla porta di casa ed attendeva soltanto che andassimo ad aprirla per farla entrare. Di fronte a noi stava una vecchierella, di poca salute, vestita di pezze e stracci, con degli enormi zoccoli, ed altrettanto enormi naso e gobbe. Sulle prime ne avevamo un po’ paura ma ci bastava sentirla parlare, con quella vocina modulata, per capire che era venuta per farci contenti e per prevedere che dal sacco che aveva sulle spalle sarebbero spuntati i doni che aspettavamo.

Oh, meraviglioso incantesimo degli anni primi. Per riviverlo nella notte dei prodigi basta sentire un canto che si diffonde per strade e casolari nella notte buia:

            La Befana vien di notte
            Con le scarpe tutte rotte
            Col vestito strapazzato
            Con la cesta del bucato
            Piena piena di bei doni
            Per i bimbi buoni buoni

2 Commenti

  1. Grazie Umberto, per aver dato risalto alla festa della Befana rispetto al Natale, con ricordi di gioventù, descritti con gioia. La befana che ricorda l’arrivo dei Re Magi che portano doni a Gesù Bambino. Lo stare davanti al camino della nonna dove cadevano le caramelle. Viva viva la Befana!

  2. Molto bella questa trattazione della festa della Befana, assolutamente pertinente e condivisibile l’attenzione alle false (e squallide) feste di “recente importazione” che sviliscono il significato di quelle , poche e vere, condivise dalla nostra Memoria. Purtroppo il nostro tempo è un tempo di commercio e di botteghe, di soldi e di scontrini fiscali, birre e e hamburger; è un tempo di consumatori seriali. Non di uomini.

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