“Gli Ordini professionali non sono modelli superati”: il pensiero di Carla Guidi e Maria Grazia Fontana tra crisi delle professioni e parità di genere

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L’Avv. Carla Guidi, Presidente del Comitato per le Professioni Ordinistiche e voce autorevole della città, e l’Avv. Maria Grazia Fontana, Presidente del Comitato Pari Opportunità presso l’Ordine degli Avvocati di Lucca, tracciano il quadro del difficile momento dei professionisti. Lanciano, inoltre, un allarme per l’effettiva disparità di genere ancora presente nel mondo delle professioni.

Presidente Carla Guidi, alla luce della grave crisi economica dovuta al blocco delle attività causato dal COVID-19, qual è oggi la situazione delle professioni ordinistiche?

Quella delle professioni ordinistiche è indubbiamente una situazione di crisi, una crisi conseguente a quella dell’intero paese. La chiusura degli uffici e il blocco totale delle attività creano disagi per tutti, primariamente da un punto di vista economico. Noi lavoratori autonomi intellettuali non abbiamo particolari sostegni da parte dello Stato e neppure dalle nostre casse private. In questo momento c’è una forte chiusura dell’intero mercato professionale perché gli assistiti si trovano in condizioni di grave difficoltà economica e questo, di conseguenza, si riversa su noi professionisti che li assistiamo. Gli ammortizzatori sociali ci sono, sì, ma adesso servono per l’essenziale e ovviamente non sono sufficienti a far girare l’economia in maniera adeguata. Di questo aspetto ne risentiamo molto e, per tale ragione, ho fissato un’apposita riunione del Comitato per le Professioni Ordinistiche per sapere che misure di sostegno hanno adottato – ciascuna nei confronti dei propri iscritti – le Casse di previdenza private per superare questa fase critica. Lo scopo della riunione è proprio quello di avere una visione di insieme, perché paradossalmente le nostre casse private non hanno tra loro un confronto granché rilevante. In realtà, prima della costituzione del Comitato che presiedo, non si confrontavano molto neppure le singole professioni e i relativi organi di rappresentanza.  Il Comitato, appunto, è nato proprio con questo scopo: instaurare un dialogo continuo tra le professioni ordinistiche per valorizzarne la funzione sociale e la portata delle attività svolte a vantaggio dell’intera collettività.

Come reputa gli aiuti ai professionisti predisposti dalle Istituzioni durante questo periodo? Quali soluzioni chiede alla politica per agevolare una più rapida ripartenza?

Sarebbe fondamentale, da parte delle Istituzioni, una maggiore conoscenza delle esigenze del mondo professionale. Solitamente si va da un professionista per chiedere un servizio, un aiuto, un sostegno e la soluzione di un problema. Ma quanto è consapevole, il mondo istituzionale tutto, di questo importante servizio che le professioni rendono alla società? Lo Stato cosa ci riconosce? Pensi che abbiamo dovuto discutere anche per i famosi 600 euro accordati, con molta fatica, ai professionisti! Diciamo che i lavoratori autonomi, nella loro organizzazione in Ordini, sono sempre stati erroneamente ritenuti dalla politica come una categoria di privilegiati…e, mi creda, non è così! Di conseguenza le misure sono spesso inadeguate, perché lo Stato non riconosce questa enorme massa di lavoro che viene quotidianamente svolta dai professionisti a favore della cittadinanza. Ecco, anche durante questa fase critica non mi pare che ci sia stata troppa attenzione nei nostri confronti. Si è guardato più che altro al rapporto di lavoro dipendente, mentre il rapporto minuto del singolo professionista col cittadino è apparso un po’ sfumato, quasi dovuto. Come sempre, con generosità e disponibilità, diamo molto ma non riceviamo un adeguato compenso in termini di considerazione del ruolo da parte della politica. Un ruolo che, invece, per lo Stato e il suo funzionamento è essenziale. Quindi, per concludere, dico che nel prossimo periodo i sostegni ai professionisti ci vorranno, e ci vorranno senz’altro più forti di quelli che sono stati apprestati fino ad oggi. Di fatto il COVID-19 ha aggravato una crisi economica che già c’era, perché – diversamente da quello che pensa la politica – noi non siamo dei privilegiati. E oggi dobbiamo essere aiutati come gli altri lavoratori, anche se siamo autonomi e organizzati in Ordini.

A prescindere dalla questione pandemia, c’è chi ritiene che oggi gli Ordini professionali siano un modello anacronistico e ormai superato. Lei crede ancora nel ruolo sociale di questi organi? Perché?

Intendiamoci, la realtà sociale – e quindi anche quella delle professioni – è cambiata. Io non sono tra quelli che rifiutano la modernità e rimangono ancorati al vecchio ma, lo dico sempre, noi dobbiamo governare il cambiamento. Il cambiamento, anche nelle libere professioni, ci vuole ed è fisiologico. Il mondo cambia e noi non possiamo mettere dei paletti perché ciò non accada, ma dobbiamo essere attori partecipi di questo cambiamento! Gli Ordini professionali devono dare agli iscritti gli strumenti affinché questi possano ben assolvere la loro funzione sociale, che comunque c’è ed è innegabile. Ecco, noi pretendiamo e dobbiamo pretendere questo imprescindibile riconoscimento in tutti i luoghi di governo. Poi, onestamente, io credo negli Ordini anche per un altro motivo: non si possono lasciare allo sbando, senza regole e disciplinate solo dal mercato, le professioni. Se si tolgono gli Ordini professionali che cosa resta della struttura del lavoro autonomo intellettuale? Assolutamente niente! È chiaro che il sistema ordinistico non deve essere piatto, non deve limitarsi solo a raccogliere le iscrizioni e a verificare i requisiti. È necessaria, al contrario, un’assistenza costante a favore dei professionisti iscritti. Un’assistenza che sia finalizzata a comprendere veramente l’evoluzione della società, a indirizzare e qualificare la formazione e a controllare i rapporti interprofessionali, anche per evitare una sorta di cannibalismo nei momenti di crisi come quelli che stiamo vivendo. Quindi, personalmente, ritengo che il sistema ordinistico debba addirittura essere rafforzato e riletto secondo le esigenze di una società che cambia.

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Avv. Maria Grazia Fontana, lei è stata Presidente dell’Ordine degli Avvocati di Lucca: a suo avviso gli ordini professionali sono ancora, per la politica, degli interlocutori credibili? Raggiungono risultati effettivi?

Gli Ordini professionali sono assolutamente fondamentali. Questo sentimento di rifiuto per gli Ordini viene da lontano e lo conosciamo ormai bene, ma non c’è una vera alternativa. Peraltro si tenga conto che oggi gli Ordini sono Enti pubblici non economici, e con questo hanno degli oneri immani che talvolta li distolgono dai problemi reali delle categorie e dei professionisti iscritti. Però, nonostante questo, dobbiamo guardare i risultati effettivi che vengono quotidianamente raggiunti. Ecco, a tal proposito si pensi a quello che gli Ordini professionali hanno fatto in questo periodo di COVID-19. A Lucca, ad esempio, anche con l’ausilio delle associazioni forensi e del Comitato Pari Opportunità, l’Ordine degli Avvocati è stato centrale nell’assistenza costante ai professionisti, governando questo difficile momento nel miglior modo possibile. Chiaramente quella degli Ordini non è una funzione politica in senso stretto, perché prima di tutto sono organi istituzionali. Organi istituzionali che, nel caso dell’avvocatura, vanno a tutelare una categoria che ha una determinata ed importantissima funzione sociale riconosciuta dalla legge. Organi istituzionali che, è vero, forse non vengono sufficientemente ascoltati dalla politica per vari motivi. Diciamo che la politica non capisce che noi professionisti – che non graviamo sulle casse pubbliche e creiamo lavoro – siamo un’opportunità per lo Stato e svolgiamo una funzione sociale ed economica fondamentale. Questo succede anche perché, come diceva correttamente Carla Guidi, la politica è ancorata ad una visione ottocentesca per cui noi professionisti siamo dei privilegiati. Ecco, per invertire questa tendenza dobbiamo lavorare, con unità e consapevolezza, per riacquisire credibilità e autorevolezza. Non dobbiamo farci trascinare giù da un gioco al ribasso e dobbiamo pretendere e chiedere, alla politica, quello che ci spetta.

Anche lei, come Carla Guidi, ha combattuto importanti battaglie a favore della parità di genere anche nelle professioni. Qual è la situazione oggi?

Io ho attraversato, durante i primi anni di professione, il periodo di grossa femminilizzazione delle professioni degli anni ’90. Oggi, nel mondo forense, le donne sono più o meno numericamente alla pari rispetto agli uomini. Ma è sufficiente guardare i dati reddituali di Cassa Forense per capire quanto, effettivamente, purtroppo la femminilizzazione non abbia comportato una reale parità di genere. Le do due dati, pubblicati di recente e relativi all’anno 2017, che sono significativi per comprendere la situazione: gli avvocati uomini hanno un reddito IRPEF medio di 52.777,00 euro annui, mentre le donne hanno un reddito IRPEF di 23.500,00 euro annui. Ecco, come vede, le donne guadagnano molto meno degli uomini. E questo non è dovuto ad una minore capacità, mi creda. Da cosa deriva, dunque, questa disparità reddituale? Beh, innanzitutto le donne, per la maternità, spesso lasciano la professione nel momento migliore della loro carriera…e in questo lo Stato dovrebbe fare molto, molto di più! Tanto più in un momento in cui l’istituzione familiare, ivi compresa la presenza dei nonni che badano ai nipoti, è venuta un po’ meno a causa del fisiologico cambiamento della società. Poi sui dati reddituali incide, ancora, il settore professionale. Ad esempio, in ambito legale i settori più remunerativi – commerciale, societario e penale societario – sono quasi esclusivamente appannaggio degli uomini. Purtroppo le donne sembrano destinate ai settori meno redditizi, e questo è un retaggio culturale assolutamente da rivedere. Quindi, per rispondere alla sua domanda, la vera parità non è ancora stata raggiunta. Per carità, nell’avvocatura, ad esempio, con la nuova legge professionale c’è stato un miglioramento in questo senso grazie alla tutela del genere meno rappresentato nelle cariche istituzionali e rappresentative forensi: quando nel 2015 ero Presidente dell’Ordine degli Avvocati, mi recai al convegno indetto dal C.N.F. e le Presidenti donna erano appena 17. Oggi, invece, sono in misura più o meno pari rispetto agli uomini. Pensi che quando Presidente dell’Ordine era Carla Guidi, lei era l’unica Presidente donna in Italia. Quindi, nel tempo sono stati fatti senza dubbio dei passi avanti ma, nonostante questo, la reale ed effettiva parità è ancora lontana.

Giovanni Mastria
Giovanni Mastria
Nato a Lucca, classe 1991. Scrivo con passione di cultura, attualità, cronaca e sport e, nella vita di tutti i giorni, faccio l’Avvocato. Credo in un giornalismo di qualità e, soprattutto, nella sua fondamentale funzione sociale. Perché ho fiducia nel progetto "Oltre Lo Schermo"? Perché propone modelli e contenuti nuovi, giovani e non banali.

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