Prevenzione sanitaria e assistenza domiciliare: se ne parla tanto ma siamo lontani da una risposta ideale. Eppure sarebbero proprio due fronti su cui investire di più visto che riducono i costi sanitari e soprattutto migliorano la vita. Lo evidenza anche il recente rapporto OCSE «The Economic Benefit of Promoting Healthy Ageing and Community Care» che evidenzia come il promuovere l’invecchiamento in buona salute e rafforzare l’assistenza domiciliare sia non solo eticamente giusto, ma anche economicamente vantaggioso. Investire in prevenzione, ambienti abitativi adatti e servizi territoriali riduce i costi sanitari e migliora la qualità della vita degli anziani.
È ormai noto che l’invecchiamento della popolazione è una realtà con cui ai vari livelli locali, regionali, nazionali e in tutto il mondo Ocse deve confrontarsi. Si parla delle nazioni che fanno parte dell’organizzazione internazionale di studi economici dei paesi sviluppati aventi in comune un sistema di governo di tipo democratico ed un’economia di mercato, oltre all’Italia ci sono: Australia, Austria, Belgio, Canada, Cile, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Giappone, Grecia, Irlanda, Islanda, Israele, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Messico, Norvegia, Nuova Zelanda, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo, Repubblica Ceca, Repubblica di Corea, Repubblica Slovacca, Regno Unito, Slovenia, Spagna, Stati Uniti, Svezia, Svizzera, Turchia e Ungheria.
Il rapporto evidenzia che vivere più a lungo non significa necessariamente vivere meglio. Da questa consapevolezza nasce il nuovo rapporto dell’Ocse, un’analisi approfondita che dimostra come investire in prevenzione e assistenza domiciliare non solo migliori la qualità della vita degli anziani, ma rappresenti anche una scelta economicamente vantaggiosa per i sistemi sanitari.
Tra il 2012 e il 2023, in Italia l’aspettativa di vita a 60 anni è aumentata di solo un anno nei paesi Ocse, contro l’aumento di 1,7 anni tra il 2001 e il 2011. Ancora più preoccupante è il fatto che solo una parte di questi anni aggiuntivi viene vissuta in buona salute: il divario medio tra aspettativa di vita e aspettativa di vita in salute è passato da 5,2 a 5,7 anni. In Italia, uno dei paesi con maggiore longevità, la situazione è simile: gli anziani vivono di più, ma con più disabilità e malattie croniche.
Molte persone anziane non conducono uno stile di vita che favorisca un invecchiamento sano. L’attività fisica è stata costantemente identificata come una strategia efficace per ridurre il declino cognitivo e le cadute. Può ridurre del 15 per cento il numero di persone di età pari o superiore a 65 anni che subiscono almeno una caduta e del 38 per cento l’incidenza delle cadute. Tuttavia, nel 2019, poco più di una persona su quattro di età pari o superiore a 65 anni soddisfaceva le raccomandazioni dell’Oms di almeno 150 minuti di esercizio fisico di intensità moderata alla settimana. I livelli di attività fisica variavano notevolmente tra i paesi dell’Ocse. In otto paesi dell’Ocse (Repubblica Ceca, Grecia, Italia, Lettonia, Lituania, Grecia, Portogallo e Turchia), meno di una persona su dieci di età pari o superiore a 65 anni rispondeva alle raccomandazioni, rispetto a una su due nei Paesi Bassi, in Norvegia, Svezia e Svizzera. Analogamente, in Australia meno dell’11% della popolazione di età pari o superiore a 65 anni ha svolto meno di 30 minuti di attività fisica in almeno 5 giorni alla settimana.

L’invecchiamento della popolazione è rapido: gli over 65 rappresentano oggi quasi il 25 per cento della popolazione, e saranno un terzo entro il 2050; entro il 2060 ci saranno oltre 50 persone di 65 o più anni ogni 100 in età lavorativa nei Paesi OCSE; il 25 per cento trascorre gli anni finali di vita in condizioni di disabilità; solo il 45 per cento degli over 65 valuta le proprie condizioni di salute buone. Intanto crescono le malattie croniche: il 50 per cento dei 65-74enni ha almeno due patologie croniche (l’Italia è tra i Paesi con livelli bassi di attività fisica, meno del 10% rispetta le linee guida OMS) e la spesa sanitaria: prevista all’8,6% del PIL entro il 2040; la spesa per LTC (long-term care) raddoppierà entro il 2050. In Italia, promuovere l’invecchiamento attivo è fondamentale per garantire la sostenibilità del Servizio Sanitario Nazionale. Non investire in prevenzione significa dover affrontare costi crescenti per ricoveri e assistenza residenziale, interventi solitamente più complessi e dispendiosi. Il messaggio dell’OCSE è chiaro: promuovere l’invecchiamento in salute non è un costo, è un investimento. Ogni euro speso in prevenzione produce ritorni sociali, economici e sanitari. L’Italia ha l’occasione di costruire un nuovo equilibrio tra ospedale e territorio, tra cura e autonomia, tra salute e qualità della vita.
Il rapporto Ocse mostra dati chiari: un incremento del 10 per cento nella spesa per la prevenzione è associato a una riduzione dello 0,9 per cento nella prevalenza di malattie croniche in cinque anni. Inoltre, destinare più risorse all’assistenza domiciliare – anziché in struttura – è economicamente vantaggioso: un aumento del 10 per cento nella quota di spesa destinata alla cura a domicilio può ridurre del 4,9 per cento la spesa complessiva per l’assistenza a lungo termine. Altro aspetto critico messo in luce dal rapporto riguarda l’inadeguatezza degli ambienti domestici. Solo il 20 per cento degli anziani vive in abitazioni con adattamenti utili alla mobilità, e solo il 5 per cento dispone di rampe o soluzioni per le scale. In Italia, dove il patrimonio edilizio è spesso datato, questo dato assume un peso ancora maggiore. Anche i servizi domiciliari restano limitati: in oltre il 40 per cento dei paesi Ocse – tra cui l’Italia – esistono restrizioni al numero di ore di assistenza disponibili, e molte attività fondamentali (come fare la spesa o accompagnare a visite) non sono coperte da fondi pubblici. Alcuni paesi stanno già sperimentando soluzioni efficaci: la Norvegia ha dimostrato che le visite domiciliari preventive riducono i ricoveri ospedalieri e l’ingresso in strutture residenziali. Il Giappone include screening sanitari obbligatori nei centri diurni, e i Paesi Bassi promuovono forme abitative condivise o intergenerazionali per combattere l’isolamento.
L’Italia, pur con alcune eccellenze locali, appare ancora indietro. L’Ocse suggerisce politiche più incisive per individuare precocemente le fragilità, rafforzare l’integrazione tra sanitario e sociale, e adattare l’ambiente urbano e domestico alle esigenze dell’età avanzata.
Il problema strutturale riguarda abitazioni non sono pensate per l’invecchiamento. Questa carenza si traduce in isolamento, maggior rischio di cadute domestiche e difficoltà di accesso ai servizi. Solo il 20 per cento delle abitazioni è adattato alle esigenze degli anziani; in Italia la percentuale è tra le più basse in Europa, inoltre esistono bonus edilizi ma non specifici per l’invecchiamento. Trasporti accessibili: 16 Paesi OCSE li garantiscono; in Italia persistono criticità soprattutto fuori dai centri urbani. I servizi domiciliari garantiscono una copertura formale di circa il 30 per cento, ma in 16 Paesi i costi a carico delle famiglie superano il 50 per cento del reddito mediano. I centri diurni sono utilizzati da meno dell’uno per cento degli over 65; in Giappone sono previsti screening sanitari obbligatori, mentre in Italia l’offerta è ancora limitata e frammentata. Le soluzioni di co-housing e i modelli intergenerazionali sono presenti in un terzo dei Paesi OCSE, mentre in Italia restano iniziative sperimentali e non strutturate.
****
Il rapporto OCSE (in inglese) può essere scaricato qui:
