Bulimìa da video e immagini? Ascolto attivo per drenare il corpo delle emozioni

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L’ESPERIENZA DI SPAZIO LUM AL REAL COLLEGIO DI LUCCA.

A volte proviamo nausea.

Siamo in sovrappeso cronico per tutte le immagini di cui ci abbuffiamo, infiacchiti da una video-egemonìa che impone il suo imperio.

A volte – come è successo ieri, per il caso della diffusione per “testa” del Tg3 del video della tragedia della funivia del Mottarone – proviamo nausea.

Ma quanto dura? Forse pochi secondi o pochi minuti. Ormai è universalmente noto che sia bassissima la soglia di attenzione media dell’utente – medio – molto ribadito nei corsi di social – media – marketing per le accurate produzioni che poi scrolliamo compulsivamente usando il dito: medio.

Tragedie del Mottarone, di Ardea, le quotidiane violenze, le insopportabili negligenze, gli squilibri tra la salute e la non salute mentale, sono all’ordine del giorno, e quasi non le distinguiamo da una story instagram, chè da una si passa all’altra senza mica cambiarla l’espressione del viso…

Ma dico, volendo, come possiamo drenare gli accumuli di miseria causati da questa bulimìa di immagini?

Quale può essere un piano a/elementare per rimettersi in forma e ritrovare una armonia con il corpo delle nostre emozioni?

Niente estremismi del tipo “stacco tutto”,“cancello l’account”, “ do il cellulare in pasto ai cinghiali”, tuttavia potremmo ogni tanto virare dall’abuso dello sguardo passivo verso l’ascolto: quello vero. 

Quella condizione che ci permette di “ascoltare” e “ sentire” le sfumature tra le pieghe di una storia e che può persino contribuire  a far sviluppare una coscienza critica.

In tal senso, tra le realtà più volenterose e tenaci, quelle che fanno perno sull’”ascolto” e la rappresentazione artistica per affrontare in maniera creativa e pro-attiva la riflessione sulle fragilità, le evoluzioni, le involuzioni e le gentili rivoluzioni dell’essere umano come individuo e come comunità civile, c’è sicuramente lo Spazio Lum, a Lucca. 

Collettivo di produzioni artistico/teatrali indipendenti che, pur senza fissa dimora, da anni sta confermando la sua tempra e determinazione a non affievolire il “lume” della riflessione e della condivisione dei principali valori di emancipazione sociale.

Ancor di più da quando – lo scorso agosto, con il continuo coordinamento di Nicol Claroni, e pur nel contesto storico difficile che tutti conosciamo – trova nel Real Collegio di Lucca e nell’intelligente intuizione del presidente Franceschini, il luogo ideale dove perseverare la crescita.

Non esito a confermarlo anche in prima persona, avendo prestato alla voce e alla bravura di Simona Generali e alla programmazione di Spazio Lum, un testo che si rivolge proprio al tema della salute mentale.

Ispirato e in parte tratto dall’autobiografia di Alda Merini, “La pazza della porta accanto”, fa parte di un progetto che si chiama “Per voce di poeta”, finalizzato ad educare all’ascolto, attraverso l’opera di poeti che raccontano vicende emblematiche della propria esistenza.

Alda Merini fu ricoverata in ospedale psichiatrico per ben tre volte: la prima all’età di sedici anni, la seconda dal 1964 al 1972 nell’istituto Paolo Pini di Milano, e la terza a Taranto nel 1986. E in effetti, se si vuole comprendere la levatura e la forza di quella che fu, oltre che una grande artista, una straordinaria donna, non si può prescindere dalla comprensione del contesto in cui avvenne la sua esperienza di internamento in manicomio. All’uscita dal manicomio, Alda Merini seppe trasformare l’orrore in poesia, dando voce al dolore di tanti uomini e donne la cui sofferenza non verrà dimenticata e che ha insegnato il coraggio di “rivelare” la propria identità e di non averne paura.

Annoso, doveroso e da articolare con il rispetto delle professionalità preposte la riflessione su chi  sia “sano” e “insano”. Parallelo quasi al concetto di “normalità” e “normale diversità”. La malattia mentale sembra quasi che ci sia data in dotazione alla nascita, come il numero di cromosomi, ma a differenza del dato numerico qui siamo nel campo psichico – dell’invisibile e pure essenziale – dove la nostra condizione dipende dalle circostanze ( le stanze del circo) in cui nostro malgrado ci troviamo. Il disagio, la fatica emotiva, la spossatezza e l’esasperazione, il fallimento, la comparazione smisurata sono scosse di elettroshock quotidiani. Come gocce o come colpi di martello che insistono e che colpo dopo colpo ci “infrangono”. Alda Merini non nasce matta, o forse sì, visto che è nata poeta e la poesia, nella sua interpretazione per difetto o per eccesso, comunque “altra”,  della realtà, è una forma di derealizzazione e quindi sintomo, se non già malattia. 

Il pubblico ha potuto confrontarsi costruttivamente con questa riflessione pubblica rappresentata in forma teatrale, lo ripeto, grazie alla professionalità dell’attrice Simona Generali e anche grazie al racconto sonoro e musicale di Luca Contini.

Il monologo, “Sono nata il 21 di primavera”, ha ricevuto il patrocinio dell’Associazione Lucchese Arte e Psicologia, della  Società Medico Chirurgica Lucchese, dell’Associazione Archimede, e della Fondazione Mario Tobino. 

Sarà presto in replica nel chiostro dell’ex ospedale psichiatrico di Maggiano.

Mentre al Real Collegio, lo Spazio Lum, porta in sciena “Di-versi” di Chiara Savarese il prossimo 4 luglio.